DOMESTICAZIONE
Animali selvatici “riprogettati” per l’uomo
Il processo evolutivo in cui flora e fauna sono state allevate in cattività e selezionati per avere caratteristiche utili
Il Neolitico è uno di quei momenti epici nella storia dell’umanità. Una di quelle fasi decisive nel cammino evolutivo della nostra specie, le cui ricadute hanno lasciato tracce che possiamo evidenziare anche ai giorni nostri.
Non è una cosa immediata, ma il fatto che oggi esistano realtà come gli allevamenti di suini, le fattorie dove si pratica l’ippoterapia, e che i pastori usino le recinzioni di filo elettrificato per contenere il pascolo delle mandrie di vacche si può ricondurre ad un evento che risale a ben 10.000 anni fa. È infatti proprio a partire da quell’epoca, quando si concluse definitivamente l’ultima glaciazione, la grande glaciazione Würmiana, che i nostri antenati divennero meno vagabondi e più “casalinghi”. E tra le novità collegate a questo nuovo stile di vita più stabile, che ci vide transitare da “cacciatori raccoglitori” ad “allevatori e agricoltori”, vi fu appunto l’avvio di una produzione alimentare organizzata. Ma non solo.
La domesticazione è stato un processo evolutivo in cui alcuni animali selvatici (e anche piante) sono stati allevati in cattività e selezionati da noi per possedere caratteristiche utili, e con il fine ultimo di avere a portata di mano cibo (latte, carne, uova), compagnia, supporto nel lavoro (cavalli da soma, cani da caccia e da guardia) e altre risorse (cuoio, pellicce). Ma cosa ha comportato, per gli animali, il processo di domesticazione? Innanzitutto, ed è sotto gli occhi di tutti, l’addomesticamento ha prodotto enormi differenze fenotipiche rispetto ai progenitori selvatici. La grande variabilità delle forme domestiche tra di loro e rispetto al “progenitore selvatico” è cosa evidente, ma la vera distinzione tra domestico e progenitore selvatico si fonda su alcune caratteristiche morfologiche e comportamentali che partono, udite udite, dalla diminuzione della dimensione del cervello. Già, perché la maggiore docilità, i cambiamenti di colore della pelliccia dei mammiferi domestici, la riduzione delle dimensioni dei denti, i cambiamenti nella morfologia cranio-facciale, le alterazioni nella forma delle orecchie (generalmente più flosce e pendule che nel selvatico) e della coda, i cicli di estro più frequenti, le alterazioni dei livelli della corticotropina (l’ormone che influenza le ghiandole surrenali) e i prolungamenti del comportamento giovanile, sono tutte quante caratteristiche che, direttamente o meno, dipendono proprio dalla riduzione delle dimensioni di particolari regioni cerebrali.
Una singolare caratteristica dei mammiferi domestici, quasi sempre presente, è la riduzione della lunghezza di mascelle e mandibole e dello scheletro facciale (il cosiddetto “muso”), rispetto agli antenati selvatici (con l’eccezione di alcune razze canine selezionate appositamente per avere il muso allungato), così come le orecchie pendule, che dipendono dalla ridotta produzione di particolari cellule che costituiscono lo scheletro facciale.
Un altro cambiamento tipico associato alla domesticazione dei mammiferi è la riduzione delle dimensioni dei denti rispetto agli antenati selvatici: anche questo aspetto è coerente con l’ipotesi della riduzione delle dimensioni cerebrali, in particolare della cresta neurale che è direttamente coinvolta nello sviluppo dei denti attraverso le cellule dette odontociti. La cresta neurale entra in gioco anche nella regolazione delle funzioni surrenali. La ridotta “paura” che hanno i domestici dell’uomo non dipende solamente dall’assuefazione alla convivenza, ma è proprio legata alla riduzione dimensionale delle ghiandole surrenali, con la conseguente riduzione dei livelli di ormone dello stress. La riduzione del cervello nei domestici è particolarmente evidente nel prosencefalo (la porzione anteriore). Ad esempio, il cervello dei maiali domestici è più piccolo del 35% rispetto a quello dei cinghiali della stessa taglia. Le riduzioni sono un po’ meno estreme, circa 20% in meno, nei visoni domestici e per i cavalli (meno 16%). Anche la caratteristica presenza di più cicli estrali nelle femmine di molte specie domestiche e la conseguente perdita di una rigorosa stagionalità nella riproduzione, coinvolge la “filiera” ipotalamo che è parte dell’encefalo-ipofisi-gonadi, che governa i cicli riproduttivi nei mammiferi.
Attenzione però, perché la “sindrome da addomesticamento”, è un’arma a doppio taglio: non ne siamo affatto esenti, perché in parte il fenomeno coinvolge anche la nostra specie. Oltre alla neotenia (ossia il mantenimento di tratti “infantili” negli stadi adulti), è singolare notare che le dimensioni del cervello umano sono sì quasi quadruplicate nei sei milioni di anni trascorsi da quando i nostri antenati hanno condiviso per l’ultima volta un antenato comune con gli scimpanzé, ma che a partire proprio dall’ultima era glaciale il volume del cervello umano sembra viceversa essere diminuito. Sarà solo a causa dell’esternalizzazione della conoscenza, e dei processi di delega del percorso decisionale che avviene a livello di gruppo, oppure dobbiamo iniziare a preoccuparci?
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