FIBER ART
Intrecci Humans

Restate umani. È un monito, una ferita, un anelito, un grido che si leva da intrecci di fili di cotone, lana o metallo, da garze cucite, fibre di carta che danno forma a cuori e cervelli, storie tessute, corpi e anime.
È un viaggio nell’umano e alla ricerca dell’umano, dei pensieri e delle aspirazioni più profonde dell’uomo. Con il titolo «Humans» torna a Busto Arsizio, dopo il debutto di successo dello scorso anno, Miniartextil, unica rassegna dedicata alla fiber art contemporanea nata a Como nel 1991 per iniziativa di Arte&Arte (fondata da Mimmo Totaro e Nazzarena Bortolaso).
Busto si conferma così desiderosa di tessere intrecci e relazioni con il mondo e di cucire una trama che leghi, attraverso l’arte, la lunga tradizione tessile della città al presente.
Entrare nelle due sale gemelle del museo del Tessile è un’esperienza estetica e immersiva nella bellezza. Un’occasione di crescita e di benessere interiore, oltre che un tassello importante nel percorso di sviluppo della città, come afferma Manuela Maffioli, assessore all’Identità, Cultura e Commercio, che ha fortemente voluto portare la fiber art a Busto dove cui parlare di tessile tocca le corde profonde del cuore.
Il sogno di fibra inizia con le riflessioni di 54 artisti di tutto il mondo: i minitessili (opere non più grandi di un cubo di 20 centimetri di lato) selezionati da un giuria internazionale esprimono una domanda «sull’uomo, l’umanità a volte persa e a volte prepotentemente ritrovata, il suo micro e macro cosmo, la vita in generale». Riflettono sulla necessità di relazioni (gli intrecci di carta giapponese di Kaoru Nakano o i fili cuciti da mani colorate della finlandese Minnamarina Tammi), legami a volte salvifici («Nessuno di salva da solo» di Lara Zappa) a volte negati («Legami negati» di Giulia Nelli), indagano le profondità della mente («Seas of the mind» di Patricia Ramsay o «Minds in Prison» di Gerda Ritzmann) e del cuore («Heart» di Hiromi Murotani).
Tra le opere della sezione Maxi, felice è il ritorno a Busto (dopo la mostra inaugurata a febbraio) di Maria Lai: le creazioni dell’artista sarda, scomparsa nel 2013, sono un intreccio di umanità, di volti e storie.
«Déjà Vu» di Pia Manniko è una foresta di tulle che cade dal soffitto con sagome umane dipinte a inchiostro raggelate in un preciso istante: una riflessione sul modo di occupare tempo e spazio.
L’egiziano Medhat Shafik offre un omaggio a Palmira, «un salvataggio utopico di reperti, resti, frammenti» del patrimonio di un civiltà illuminata, simbolo di convivenza pacifica tra popoli diversi.
Maimouna Guerresi invita a riflettere sul tema della ricerca spirituale con i suoi altissimi «cappelli minareti» cuciti come nella tradizione dei Sufi.
Sulla distorsione della realtà o sui possibili differenti punti di vista ragionano il coreano Sung Chul Hong («String_Column_0155») e il fotografo comasco Gin Angri.
Evocano ricordi stratificati le maschere di filo di ferro e tulle di David Oliveira, mentre Patrizia Polese con «The Jungle», crea una cascata di fili che simulano la catena del Dna umano, un groviglio in cui perdersi per ritrovare il proprio centro, facendo riemergere un’umanità più autentica.
In apertura e chiusura dell’esposizione è un’opera inedita dell’argentino Manuel Ameztoy, «A Dome for you», un flusso leggerissimo di tessuto non tessuto, in continua trasformazione.
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Fino al 9 giugno, museo del Tessile e della Tradizione Industriale, Busto Arsizio, mart.-ven. ore 15-19, giov. fino alle 21; sab. e dom. ore 11-19; 7/5 euro, gratuito il giovedì ore 17-19. Info rmazioni allo 0331.390351-352 oppure miniartextil.it
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