NELLA NATURA
Erbe selvatiche: un tesoro di sapori e profumi dal bosco
Eleonora Matarrese, chef e raccoglitrice, ha aperto il primo laboratorio gastronomico d’Italia di cucina con le delizie stagionali

Andar per campi in questo inizio di primavera può rivelarsi, ad ogni passo, una sorpresa. Camminando nei prati, sui viottoli di campagna, a ridosso del giglio dei boschi, lontani da traffico e inquinamento urbano, scoprirete che la natura si è svegliata dal letargo invernale e, nel suo ciclico divenire, ci regala una ricchezza di fiori, germogli e piante che non solo danno piacere alla vista ma possono essere usati come ingredienti preziosi da portare sulle nostre tavole.
Tarassaco, acetosella, piantaggine, raperonzoli, ortiche, aglio ursino, malva, luppolo, pratoline, timo selvatico. Sono solo alcune delle migliaia di erbe spontanee che fanno capolino dalla terra e che, da ora fino all’autunno inoltrato, porteranno nei nostri piatti nuovi profumi e gusti diversi oltre che un concentrato di valori nutrizionali che supera di gran lunga quello delle verdure coltivate. Se in primavera sono i germogli e i teneri virgulti, in estate sono fiori e frutti e in autunno bacche e radici che possono essere consumati freschi o conservati per avere una scorta di benessere e gusto in dispensa per tutto l’anno. Ogni stagione insomma garantisce un buon raccolto con cui deliziare il palato e nutrire il corpo. Una biodiversità spontanea che è veicolo di tradizioni e di antichi saperi.
Eleonora Matarrese è “la cuoca selvatica”. Di origini baresi, è specializzata in Etnobotanica. Chef e raccoglitrice di erbe spontanee, è consulente in ambito di specie selvatiche e dei loro usi in cucina oltre che divulgatrice di buone pratiche inerenti la raccolta sostenibile di specie spontanee per il consumo umano (fitoalimurgia). Nel 2014, a Monza, ha aperto Pikniq, il primo laboratorio gastronomico d’Italia di cucina con le erbe selvatiche che oggi ha sede in Piemonte, alle pendici del monte Mottarone.
Una passione che ha coltivato fin da bambina quando, in Puglia, partecipava al raccolto delle cicorie di cui ne esistono più di venti varietà ciascuna con caratteristiche organolettiche ben definite. Ancora oggi, nelle regioni del Sud, il momento della “raccolta” rappresenta un’usanza familiare per cucinare piatti tipici della tradizione ma anche per portare sulle tavole dei ristoranti e sui banchi della grande distribuzione le prelibatezze spontanee che offre gratuitamente la terra.
Raccoglitori però non ci si può improvvisare per due ragioni. La conoscenza delle specie e delle varietà è fondamentale per non incorrere in rischi che possono essere pericolosi, se non addirittura letali, per la salute. È necessario quindi sapere quali piante e quali parti delle stesse possono essere commestibili. E bisogna sapere individuare quelli che sono definiti i “sosia tossici” cioè quei vegetali che assomigliano a quelli edibili ma che in realtà non lo sono. In questo caso occorre una buona guida e l’osservazione diretta sul campo, un po’ come accade per la ricerca dei funghi. La seconda ragione riguarda l’attenzione nel raccogliere le giuste quantità di erbe. Depredare i campi significherebbe incidere pesantemente sull’ambiente e stravolgere l’ecosistema del territorio. In questo caso si devono rispettare le normative di regioni e province sui quantitativi di piante protette che si possono raccogliere (le liste rosse) e su quelle che non si possono assolutamente toccare (le liste nere). Se coscienza e rispetto dei luoghi non sono sufficienti, si può incorrere in multe salate.
L’interesse per la pratica antica della raccolta di erbe spontanee sta comunque suscitando un interesse, sempre maggiore, nella popolazione: sono soprattutto uomini e donne in egual misura, tra i 35 e i 55, anni a voler intraprendere questa via. «Ma anche tanti di giovani - spiega Eleonora Matarrese - motivati da scelte ambientali o salutistiche».
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