A TAVOLA
Il vino? Arancione

Più scuri del bianco, ma non sono rossi e neppure rosati: sono gli «orange».
Il quarto colore del vino. Un autentico boom per questo prodotto piuttosto complesso e ricercato: fenomeno di moda o ricerca di qualcosa di innovativo che sia, l’aumento esponenziale della produzione e della richiesta che si sono registrate nell’ultimo biennio fa si che andare alla scoperta di questa nuova tendenza che va a riempire i nostri calici sia un piacevole viaggio nel gusto del presente ma che ha solide e ben riconosciute radici nel passato.
Semplificando si potrebbe definirli vini bianchi travestiti da rossi, ma gli arancioni hanno conquistato spazio imponendosi all’attenzione non solo degli appassionati e degli esperti, ma soprattutto del pubblico, per le qualità organolettiche oltre che per una «moda» cui il mondo del vino sta anche giustamente riservando attenzione.
Perché arancione?
Gli orange wine sono prodotti con uve a bacca bianca che sono però vinificati come se fossero dei vini rossi: ovvero vengono fermentati.
Di solito la produzione di vino bianco non prevede il contatto delle bucce col mosto, in questo caso invece vi rimangono per periodi più o meno lunghi estraendo colore e tannini.
Tale sistema regala al prodotto finale il caratteristico colore arancione, che in qualche caso tende all’ambra, e una struttura importante.
Le origini sono antichissime se si pensa che alcuni archeologi hanno ritrovato in Georgia, luogo di nascita del vino arancione, alcuni kvevri, contenitori in terracotta, che risalgono a cinquemila anni fa. In queste anfore avvenivano le lunghe conservazioni che producevano vini concentrati e carichi di colore, gli antenati degli «orange» dei nostri giorni.
Si sono riscritte le regole di questa produzione prendendo come punto di partenza tecniche risalenti all’antica Roma o a quando i contadini, digiuni di informazioni enologiche, si arrangiavano come potevano conferendo un affascinante colore aranciato e profumi rosseggianti a normalissimi bianchi.
Si parte da una coltivazione dedicata e priva di trattamenti chimici e le fermentazioni avvengono senza l’inoculazione di lieviti e senza refrigerazioni: gli orange possono essere definiti vini biologici e la lunga capacità di conservazione, senza l’aggiunta di solfiti, si deve alla severa selezione di uve sane.
Ai vignaioli è lasciata la scelta della durata della macerazione da qualche giorno a diversi mesi: a seconda del vitigno e della sua capacità di rilascio di sostanze dalle bucce, ma pure per «stile personale».
Le tonalità oro antico, fino ad arrivare al topazio, all’arancio e all’ambrato conferiscono a questi vini un particolare fascino visivo ma va aggiunto che devono essere considerati dei prodotti «d’autore» in quanto la produzione richiede parecchio lavoro manuale che si manifesta in una minuziosa cura del vigneto e una febbrile attenzione in cantina. L’affinamento viene effettuato in botti grandi di legno e l’imbottigliamento è senza filtrazione, successivamente avviene l’affinamento in bottiglia. E
il sapore? L’arancione è un vino particolare con odore diverso da quello tradizionale al quale si è spesso abituati: si offre con profumi complessi e ampi, dalla frutta matura e secca a profumi erbacei di paglia e fieno.
Al palato è gradevole la struttura più corposa rispetto a un rosato o a un bianco, l’intensità è più o meno marcata a seconda della durata della macerazione e del vitigno d’origine.
Per qualcuno l’orange non è un vino facile, alcuni sommelier lo hanno definito «introverso», difficile da abbinare e da gestire in cantina e in frigorifero.
Secondo Stanko Radikon, produttore e filosofo del vino arancione scomparso due anni fa, «sono vini difficili se si pensa di inquadrarli in schemi prefissati - altrimenti si rivelano esattamente il contrario, purché ci si preoccupi di spiegarne le caratteristiche al consumatore. Difficili lo sono, caso mai, per i produttori: non sono vini da business, visto che richiedono molto tempo e si caratterizzano per una produzione limitata».
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