IL FENOMENO
La grande fuga dei giovani dal Nord
Le ragioni che spingono i ragazzi a cercare e trovare lavoro all’estero. «Stiamo perdendo i migliori talenti ad alta scolarizzazione»
Giovani in fuga dal Nord Italia: non dal Mezzogiorno, non da zone povere o disagiate come accadeva in passato, ma da Varese, da Milano, da Como, dalla Lombardia e dal Veneto. Non per sopravvivenza, non per mettere pranzo e cena in tavola tutti i giorni ma per trovare un lavoro che li renda felici, appagati, soddisfatti. Non necessariamente più ricchi. In molti punti è spiazzante e si allontana dai cliché la fotografia della nuova emigrazione degli italiani all’estero scattata da una ricerca presentata dall’economista Luca Paolazzi, direttore scientifico della Fondazione Nord Est, durante la sessione online dell’Associazione per il progresso del Paese di Lella e Alfredo Ambrosetti.
Lo studio ha analizzato l’andamento delle entrate-uscite complessive nel Paese e si è anche concentrato su un sondaggio fra i giovani italiani del Nord, Varesotto compreso, sia fra quelli in patria sia fra quelli “fuggiti”.
LE CIFRE
Ebbene, i dati sono lì a sfatare molti luoghi comuni sull’Italia, gli italiani e i “giovani d’oggi”, come molti si ostinano ancora a chiamarli con un senso di paternale superiorità. Non si impegnano, non hanno voglia di lavorare, si sente dire. Non scelgono professioni tecniche altamente specializzate, quelle più richieste dal nostro mercato. Tutto falso: o meglio, tutte queste attività le fanno, sì, ma non nel loro Paese d’origine, che li respinge.
Meglio in Svizzera, in Inghilterra, negli Stati Uniti, dove si sentono valorizzati e degni di prendere in mano il loro destino. E a fare le valigie, ancora una volta, non sono ragazzi in difficoltà, con poca istruzione, ma sempre più laureati.
«Fra il 2011 e il 2023, 550mila giovani italiani nella fascia di età fra i 18 e i 34 anni hanno lasciato l’Italia e il saldo migratorio arriva a meno 377mila - ha detto l’economista -. Il deflusso è ripreso dopo la pandemia e le cifre reali sono tre volte più grandi di quelle ufficiali perché non tutti si iscrivono all’Aire, l’anagrafe dei residenti all’estero, per non perdere i privilegi della residenza italiana come la sanità. Un fenomeno ampiamente e sistematicamente sottovalutato. Per la dimensione quantitativa, la nuova emigrazione è analoga a quelle del passato, come dopo la prima guerra mondiale e negli anni Cinquanta. È però diversa la qualità: il contesto demografico è senza precedenti, le partenze sono dalle regioni più ricche e se ne vanno persone molto istruite».
CHI SE NE VA CHE MALE FA
Insomma, perdiamo il meglio, con tutti gli effetti negativi per l’Italia che portano alla riduzione del potenziale di crescita: perdita di capitale umano per 134 miliardi di euro nel 2011-2023, il triplo se si calcola la sottovalutazione del fenomeno. E al Nord svettano proprio Lombardia (meno 23 miliardi) e il Veneto (meno 13), al Sud Sicilia (meno 15) e Campania (meno 12). Ne deriva minore natalità di persone e imprese.
«A me non piace l’espressione “fuga dei cervelli”, perché mi sembra di vedere le vignette di Jacovitti con gli uomini-salame - dice Luca Paolazzi -. Io preferisco parlare di fuga di persone, perché non se ne va solo la testa. Noi siamo mente, corpo, tutto. Una costante di chi sceglie altri Paesi rispetto all’Italia è il fatto di avere talento, anche nel senso di coraggio e propensione al rischio, e questo al di là del titolo di studio. Chi si sposta per lavoro è intraprendente, sa accettare le sfide e vuole attività innovative». Un vincente, ma non in patria.
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