STORIE DI NATURA
Le insolite “vendemmie” zoologiche
Animali in... fermento. Il primate aye-aye beve il nettare della palma del viaggiatore
Le prime vendemmie di cui la storia dell’uomo mantiene traccia pare risalissero a oltre 10.000 anni fa, in una delle “culle” dell’umanità che siamo soliti definire Mezzaluna Fertile, l’attuale Medio Oriente, da dove provengono anche le prime testimonianze della nascita dell’agricoltura. Da millenni quindi l’uomo ha l’abitudine non solo di vendemmiare e produrre vino, una delle più diffuse bevande alcoliche al mondo (seconda solo alla birra come numero di litri consumati), ma di cimentarsi in svariate pratiche di fermentazione di materiali vari (frutti, estratti zuccherini, piante…) per produrre più genericamente bevande alcoliche.
Per la storia dell’uomo la vinificazione ha assunto un ruolo talmente importante che nel passato addirittura si celebravano specifiche festività. Ad esempio, il 19 agosto si celebravano le Vinalia rustica, per richiedere agli dei che ci fosse una abbondante produzione di uva. L’11 ottobre si festeggiavano le Meditrinalia durante i quali si assaggiava il mosto in fermentazione e il 23 aprile era la volta delle Vinalia urbana, festeggiamento durante il quale si assaggiava il vino nuovo. Insomma, un vero e proprio “scadenzario” delle ritualità umane di un tempo, governato dai ritmi di lavorazione dell’uva. Gli acini della Vitis vinifera non sono però i soli frutti che, fermentando, producono alcol. L’alcol etilico, o etanolo, può essere infatti prodotto attraverso la fermentazione di una ampia varietà di sostanze naturali che contengono zuccheri o amidi. L’alcol può derivare infatti da alcuni cereali come l’orzo, il mais, la segale o il frumento impiegati per la produzione di birra e whisky. Anche il riso, fermentato grazie ad un fungo specifico (Aspergillus oryzae) per convertire gli amidi in zuccheri, viene utilizzato per la produzione del sake, le patate sono utilizzate per la produzione di vodka, la canna da zucchero e la melassa permettono di ottenere il rum, le parti centrali dell’agave blu (Agave tequilana) sono impiegate per la produzione di tequila. Insomma il panorama risulta davvero ampio e diversificato, in particolare se posto in relazione con una caratteristica speciale dell’uomo. Gli esseri umani hanno infatti la capacità di metabolizzare rapidamente l’etanolo grazie ad una variazione dell’enzima alcol deidrogenasi che ci rende 40 volte più veloci nel “digerire” l’etanolo rispetto ad altri primati. Ma tralasciando i gusti umani e tornando a esplorare l’universo delle “cose della natura”, non possiamo trascurare la miriade di specie vegetali che producono frutti sui quali, in seguito alla completa maturazione e quindi all’arricchimento di zuccheri, iniziano spontaneamente processi di fermentazione con esiti... alcolici.
La caratteristica di metabolizzare l’alcol è presente infatti anche in altri mammiferi, oltre ad Homo sapiens, che con i nostri antenati avevano in comune la tendenza a mangiare molta frutta o nettare. Ad esempio, l’aye-aye (Daubentonia madagascariensis), un primate che si trova in Madagascar, è noto per bere il nettare della palma del viaggiatore (Ravenala madagascariensis), che fermenta facilmente producendo quantitativi di alcol più o meno apprezzabili. La fermentazione dei frutti della Marula (Sclerocarya birrea), un albero di medie dimensioni diffuso nell’Africa subsahariana, favorita dalle elevate temperature che accelerano i processi di trasformazione degli zuccheri in alcol, è spesso causa di casi di “ubriachezza molesta” addirittura negli elefanti. Questi massicci animali barcollanti sono stati immortalati per la prima volta e proposti al grande pubblico nel film “Animals Are Beautiful People” del documentarista Jamie Uys, che nel 1974 vinse anche il Golden Globe come miglior documentario. A dirla tutta, però, sembrerebbe che per giungere più velocemente al risultato documentaristico, il regista avesse deciso di “correggere” la scena, aggiungendo appositamente alcol ai frutti: una sorta di “buona la prima” eccessivamente manipolata. Comunque sia, il fatto che la fermentazione naturale di frutta produca etanolo è cosa nota, anche se le quantità di alcol non sono mai eccessive. La concentrazione di alcol prodotto per fermentazione spontanea può arrivare all’8% circa nella frutta fermentata, un quantitativo non sufficiente a ubriacare un elefante, i cui maschi adulti arrivano a pesare circa 6000 kg. Se però consideriamo la mancata azione enzimatica, la questione diventa più chiara: molti mammiferi che nel corso della loro storia evolutiva si sono adattati a non consumare regolarmente frutta o nettare, utilizzando come alimento prevalente altro materiale vegetale, come ad esempio l’erba (molti ungulati selvatici ma anche animali domestici come bovini, ovini, cavalli), oppure fogliame e cortecce (castori, elefanti), o addirittura proteine animali (molti carnivori, e i cetacei), possono, nel corso delle modifiche evolutive, aver perso (o conservato in una versione non più funzionale) il gene deputato a codificare per la produzione dell’enzima che serve a eliminare l’alcol, che quindi manifesta suoi inebrianti effetti anche a basse concentrazioni.
Un altro caso interessante è legato ai moscerini della frutta (Drosophila melanogaster) che invece l’alcol lo cercano attivamente. L’etanolo serve infatti a questa specie per proteggere le larve da alcune vespe parassitoidi, ossia imenotteri che depongono le proprie uova proprio sulle larve dei moscerini. Le larve di queste particolari vespe si accrescono nutrendosi dei bruchi dei moscerini della frutta: circa il 90 per cento delle larve di moscerini della frutta raggiunge l’età adulta, ma in presenza delle vespe parassitoidi il tasso di sopravvivenza può scendere sino al 10 per cento. Nella “corsa alle armi” per sopravvivere, nelle larve dei moscerini si è evoluto un meccanismo di difesa basato sulla capacità delle larve dei moscerini di assumere (e tollerare!) elevati livelli di alcol, che impedirebbero alle larve delle vespe, che non gradiscono questa sostanza, di utilizzarle come cibo. L’alcol infatti risulta un efficace “tossico” per la maggior parte delle larve di vespa, uccidendole o provocandone deformità che limitano la sopravvivenza. Per questi moscerini è un “brindisi” che salva la vita.
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