IL CASO
«Luca vive con noi. Ma ora sarà adottato da altri»
Ricorso della famiglia affidataria che risiede in provincia di Varese: «Negata la continuità affettiva»
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Da quattro anni Giuseppe e Maria Bianchi (nomi di fantasia) hanno in affido il bambino entrato a far parte della loro famiglia quando aveva solo un mese di vita e che sarebbe dovuto restare con loro solo per i sei mesi del “progetto ponte”. E ora che i coniugi hanno presentato formale domanda di adozione del piccolo Luca (anche questo è un nome inventato), il Tribunale per i minorenni di Milano ha deciso che il bimbo andrà a vivere, definitivamente, in un’altra famiglia.
La sindrome da abbandono
Marito e moglie, residenti in un Comune della provincia, sono disperati. Non solo perché dopo quattro anni hanno saputo, che dovranno dire addio al bambino che è cresciuto con loro e i loro tre figli, ma anche perché Luca - al quale è già stata data la notizia che dovrà abbandonare quella che ormai considera la sua casa - ha iniziato a manifestare i sintomi della “sindrome da abbandono”. Segnali messi nero su bianco dal legale della coppia, l’avvocato Sara Cuniberti, nel ricorso urgente depositato per ottenere l’adozione in casi particolari - riconoscendo la «continuità affettiva» con la famiglia affidataria - e sospendere immediatamente gli incontri con la nuova famiglia adottiva. Da qualche giorno, infatti, il bimbo piange o si agita quando un genitore si allontana, teme che non torni più, si sente non amato. Ha anche chiesto se l’allontanamento sia legato a una sua lite con un fratellino, segno che forse si “incolpa” di ciò che sta succedendo.
E il suo comportamento è cambiato: ha ricominciato a fare la pipì a letto, fa fatica ad addormentarsi o si sveglia con incubi. E ha chiaramente detto, in lacrime, che non vuole cambiare casa, né scuola. «Tutti sintomi di estrema gravità - sottolinea l’avvocato - esaminati da una psicoterapeuta infantile che ha espresso il fondato timore che per il bimbo vi sia un rischio di trauma relazionale importante. La specialista ha spiegato che “il bambino ha diritto di vivere in serenità, stabilità ed equilibrio”».
«Serve continuità affettiva»
Nel ricorso per l’adozione, la famiglia punta sul principio della “continuità affettiva”, sancito dalla legge 173 del 2015, che «impone la tutela del legame costruito tra il minore e la famiglia affidataria, evitando traumi derivanti da distacchi improvvisi e immotivati». Principio ribadito in numerose sentenze, in base alle quali il bene primario da tutelare è quello del «miglior interesse del minore». Il quale «riconosce Giuseppe e Maria come suoi genitori e non sarebbe in grado di comprendere per quale ragione debba essere costretto a cambiare tutte le sue figure di riferimento, la città, gli amici, la scuola materna, peraltro nel bel mezzo dell’anno scolastico». Da qui la richiesta di «adozione in casi particolari, come stabilito dall’articolo 44 della legge sull’adozione», norma «prevista al fine di attribuire certezza e stabilità a una relazione che soddisfa il bisogno del minore alla continuità affettiva». Secondo i Bianchi, invece, il giudice onorario del Tribunale per i minorenni che ha «ha disposto l’adozione da parte di altra famiglia», lo ha fatto «senza adeguata considerazione del superiore interesse del minore e della continuità affettiva con la famiglia affidataria».
Un fulmine a ciel sereno
Del resto, era stato lo stesso Tribunale, nel dicembre 2021, a chiedere ai Bianchi se fossero disponibili all’adozione di Luca e la loro risposta era stata affermativa. E così a novembre 2023, dopo tre anni di affido continuato, i coniugi depositano la domanda di adozione, secondo le indicazioni della curatrice del minore. E viene loro comunicato che a breve il Tribunale avrebbe deliberato l’adottabilità del bimbo. Ma passa un altro anno, senza alcuna novità. Improvvisamente, a metà dicembre 2024, gli incontri in spazi neutri con i genitori biologici vengono sospesi e a gennaio di quest’anno arriva, come un fulmine a ciel sereno, la notizia che Luca sarà adottato da un’altra famiglia.
Una vicenda destinata a lasciare il segno in un bimbo di 4 anni e in cui il fattore tempo ha giocato un ruolo fondamentale. Perché Luca ha trascorso con Giuseppe e Maria tutta la sua vita, «una vita serena e spensierata», come testimoniato anche dalle relazioni dei Servizi sociali. «Questi quattro anni - prosegue il legale - sono trascorsi, duole dirlo, perché non è stata applicata correttamente la normativa; perché le lungaggini e presumibilmente il carico di lavoro dei Tribunali e degli enti preposti sono stati preponderanti rispetto al bene supremo del bambino da tutelare; perché quando nel novembre 2023 è stato riferito che il Tribunale dei minori avrebbe preso posizione sulla adottabilità di Luca entro pochi giorni, è trascorso un altro anno. Un altro anno di vita con mamma Maria e papà Giuseppe, con i fratelli, con gli amici, in quella che lui considera la sua casa (perché ha avuto una sola casa, quella). Quattro anni che hanno di fatto tramutato un progetto di affido “temporaneo” in un affido “prolungato”, “sine die” per Luca e per i suoi familiari. Come si potrebbe definire “temporaneo”, un affido che dura ininterrottamente da 4 anni? Anni trascorsi nell’inerzia delle istituzioni e ora, in pochi giorni, non mesi, ma giorni, si pretenderebbe che vi sia un “passaggio di consegne” fluido, armonioso, agevolato, senza traumi, senza scossoni su un bimbo di soli 4 anni?».
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