CHIUSA L’INCHIESTA
Omicidio e depistaggio. Fra le vittime tre Ministeri
Lo Stato potrebbe chiedere i danni ai due carabinieri: il maresciallo che sparò al marocchino e il suo superiore. I fatti a Castelveccana

Sono tre i Ministeri - Difesa, Interno e Giustizia - indicati come persone offese nel procedimento penale a carico dei due carabinieri indagati per la morte di Rachid Nachat, il 34enne marocchino ucciso nei boschi dello spaccio il 10 febbraio 2023 durante un’operazione contro il traffico di droga. Ministeri che, se la Procura chiederà il rinvio a giudizio dei militari, potrebbero quindi costituirsi parte civile nel processo, chiedendo loro il risarcimento dei danni.
L’avviso di conclusione delle indagini è stato notificato nei giorni scorsi al maresciallo del Radiomobile di Luino (nel frattempo congedatosi) che sparò con il suo fucile da caccia privato, colpendo mortalmente l’immigrato alla schiena, e al suo superiore, un luogotenente, che è accusato di averlo “coperto” per ostacolare e sviare l’inchiesta. Al primo vengono contestati i reati di omicidio, falsità ideologica in atti pubblici e detenzione abusiva di armi (le munizioni che gli furono trovate in casa); al secondo quelli di favoreggiamento personale e depistaggio, oltre che di falso. Se il nome del comandante è entrato nell’indagine in un secondo tempo, la posizione del maresciallo si è aggravata rispetto all’avvio dell’inchiesta: inizialmente, infatti, nei suoi confronti era stata ipotizzata l’accusa di omicidio preterintenzionale, mentre ora si parla di omicidio volontario, con l’aggravante della violazione dei doveri legati alle sue funzioni di polizia giudiziaria.
Tra le persone offese da questo reato figurano, ovviamente, i famigliari del morto: il fratello e la cognata di Nachat, residenti in provincia di Pavia. Oltre al Viminale e al Ministero della Difesa, quest’ultimo considerato - essendo gli indagati militari - vittima di tutti i capi d’accusa. E a quello della Giustizia per il favoreggiamento e il depistaggio. Adesso gli indagati hanno 20 giorni di tempo per presentare memorie difensive, chiedere altri indagini, fare dichiarazioni spontanee o farsi interrogare dai pm Antonio Gustapane e Lorenzo Dalla Palma. Al quale poi tornerà in mano il fascicolo per l’eventuale richiesta di rinvio a giudizio.
Secondo la Procura, quel giorno di due anni fa il maresciallo era impegnato con due colleghi, tutti in abiti civili, in un servizio antidroga nei pressi delle Cascate della Froda. Fu lui a sorprendere Nachat nascosto in mezzo alle piante. Il sospetto dei carabinieri era che il marocchino fosse lì per spacciare. Sospetto poi confermato da un suo connazionale arrestato qualche settimana più tardi e condannato proprio per aver venduto droga in quella zona; nell’interrogatorio ammise di aver “lavorato” con Rachid nei mesi precedenti l’omicidio, precisando però che il giorno “incriminato” non era a Castelveccana ma a casa con un braccio rotto.
Tornando a quel pomeriggio, il marocchino iniziò a correre e il maresciallo gli sparò prima con la pistola d’ordinanza - due volte, mancandolo - poi con il fucile personale: quattro colpi, uno dei quali fatale. Da qui l’accusa più grave.
Poi c’è quella di falso per aver dichiarato che la vittima estrasse una pistola e la puntò contro di lui, mentre dalle indagini non è emersa la presenza dell’arma.
Il suo superiore lo avrebbe poi aiutato a «eludere le investigazioni», non informando subito il pm dell’omicidio. Non solo: avrebbe anche manomesso corpo del reato e stato dei luoghi allo scopo di «ostacolare e comunque sviare» le indagini dal suo sottoposto. Tra l’altro, avrebbe pure dichiarato di non aver mai autorizzato l’uso di proiettili in gomma durante quei servizi, «mentre in realtà era a conoscenza di tale prassi che lui stesso aveva approvato».
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