LA MOSTRA

«Quando vengo al Nord, ci vediamo!» Piero Guccione, tra i maggiori protagonisti della pittura italiana del Novecento, amava ripeterlo al gallerista di Busto Arsizio Gianluigi Rebesco, ogni volta in cui, dall’amata Sicilia, si spostava verso Firenze, Bologna o Milano. Un lungo sodalizio, quello tra Guccione e Rebesco, che lo ricorda come un artista e uomo eccezionale, riservato, di grande umanità e raffinata cultura.
Il primo incontro fu a Roma, sul Lungotevere Flaminio, dove Guccione aveva lo studio prima del ritorno in Sicilia, a Cava d’Aliga di Scicli e poi a Quartarella, sull’altopiano di Modica. Da quel giorno, sono nate cinque mostre, allestite tra il 1979 e il 2006 alla Galleria Bambaia di Busto.
Tutte accompagnate dal testo critico di autori come Attilio Bertolucci, Roberto Tassi, Dante Isella, Leonardo Sciascia e Guido Giuffrè. Per più di quarant’anni Rebesco ha fatto della sua galleria in via Carlo Porta uno scrigno di proposte espositive di grande spessore e delicatezza, e la sua passione rara traspare dagli occhi e dalla voce, quando ricorda l’artista siciliano che, arrivato a Busto (accompagnato talvolta da Sonia Alvarez, sua compagna e ottima pittrice), si faceva prestare l’auto per andare a rivedere le Alpi, rimanendone ogni volta emozionato.
Lui, che era un uomo di mare, e che al mare ha dedicato quattro decenni di intenso lavoro, come testimonia la mostra di Mendrisio «La pittura come il mare», la prima organizzata dopo la scomparsa di Guccione nell’ottobre 2018.
Ad attirarlo era – sono parole di Isella nel testo di presentazione della mostra del 1988 alla Galleria Bambaia - «La linea appena percettibile dei suoi orizzonti di acque e di cielo, la luminosa (e numinosa) fissità del suo mare. Immagini folgorate dall’Assoluto». Guccione cercava di ricreare quella linea d’orizzonte, indefinita in lontananza, di fare muovere il mare «per incontrare il cielo», come si legge nei suoi appunti. «Ma il senso del cielo è quello dell’immobilità, mentre il mare è la mobilità». Quasi sessanta, tra oli e pastelli, le opere scelte da Simone Soldini con la collaborazione dell’Archivio Guccione, ed esposte a Mendrisio; lavori realizzati dal 1970 al 2008, anno del pastello «Il nero e l’azzurro», in cui emerge potente il tema dell’ombra, insita nelle cose stesse («Elogio dell’ombra» è il titolo della personale del 1981 alla Galleria Bambaia, dedicata completamente ai pastelli e con un memorabile testo di Roberto Tassi).
Per Guccione il mare coincideva con un’idea di pace, di quiete, dentro una luce reale e vera, e nel dipingerlo provava una naturale felicità contemplativa. Ogni mattina, racconta Rebesco, scendeva sulla spiaggia e rimaneva a lungo a osservare il mare. Poi risaliva dicendo «vado in trincea», e dipingeva nel suo studio per otto, nove ore. Aveva sviluppato un grande attaccamento al lavoro e capacità di concentrazione. Ogni quadro era per lui «un interminabile viaggio che si va compiendo nei due o tre metri quadrati antistanti il cavalletto; avanti e indietro; cioè, lo spazio necessario per poterlo meglio osservare e controllare».
Guccione ha portato la sua ricerca a un’assoluta rarefazione, ai limiti dell’astrazione, restando tuttavia sempre ancorato alla realtà, in una complessa dinamica tra soggettività e oggettività. Un ritorno alle cose che ha significato il ritorno alla sua terra, un «riannodarmi alla base della mia esistenza, alla fisicità delle radici». A quei luoghi e a quel mare che già da piccolo, arrivando sul carretto da Scicli, gli sembravano un’apparizione meravigliosa, il paradiso.
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