ARTE
Torna a splendere la Scuola di Atene

Seicento lire imperiali. Una somma esorbitante, quella pagata da Federico Borromeo nel 1626 per l’acquisto di «duoi pezzi di disegno di Raphaele d’Urbino in cartone» dalla vedova di Fabio II Visconti di Brebbia Borromeo. Il cardinale ci aveva visto lungo, non solo perché l’opera rappresentava il suo ideale estetico (solo il Sanzio era riuscito a superare in bellezza l’arte greca, spiega Alberto Rocca, direttore della Pinacoteca Ambrosiana), ma anche perché è il più grande cartone rinascimentale conservato (285 x 804 cm), realizzato da Raffaello Sanzio per mostrare a papa Giulio II come avrebbe affrescato la seconda parete della Stanza della Segnatura negli appartamenti vaticani. Il motivo per cui è arrivato fino a noi è che il «ben finito cartone» non fu usato per riportare l’immagine sul muro, operazione che ne avrebbe comportato la distruzione, ma solo a scopo dimostrativo. Per questo è stato bucherellato inframezzandolo con un altro cartone non disegnato: era quest’ultimo ad essere utilizzato per il buon fresco, per poi essere distrutto.
Vero e proprio trionfo della saggezza antica radunata attorno a Platone e Aristotele, per 170 anni l’opera affascinò visitatori provenienti da ogni parte d’Europa, sino al maggio 1796, quando Napoleone ordinò la requisizione del patrimonio dell’Ambrosiana. Portato al Louvre, il cartone fu danneggiato da un intervento di restauro invasivo (scomposto nei circa 220 fogli di cui è formato, non fu poi riassemblato come in origine). Nel 1815 fu restituito all’Ambrosiana, ma il suo vagabondaggio non era finito: lasciò la sua sede durante i due conflitti mondiali, per essere riparato prima in Vaticano e poi nel caveau della Cassa di risparmio delle Province Lombarde a Milano.
Dopo tante peripezie, si è reso necessario un accurato lavoro di restauro, durato quattro anni sotto l’attenta direzione di Maurizio Michelozzi e concluso in questi giorni. Lo si può quindi ammirare nuovamente nella sala V della Pinacoteca, riallestita per l’occasione da Stefano Boeri. Il cartone prende vita nel buio avvolgente della sala, protetto da una vetrina unica antiriflesso di 24 metri quadrati (già Luigi Caccia Dominioni nel 1966 aveva pensato a questa soluzione, ma la lastra esplose nel luogo di produzione, a Caserta), la più grande mai realizzata al mondo, prodotta da Goppion per rispettare i delicati vincoli conservativi e che per essere collocata ha richiesto un’apertura speciale nelle mura della storica biblioteca.
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