LA MOSTRA
Una collezione nata da un’“appassionata incompetenza”
Stella Poscio e l’amore per l’arte dei genitori Alessandro e Paola. A Casa De Rodis a Domodossola in mostra 10 opere di diversi artisti

Condividere la bellezza. Quella di Alessandro e Paola Poscio è la storia di un grande amore, per l’arte e il collezionismo, che si è svelata a poco a poco, grazie ai rapporti di stima e amicizia con gli artisti, con opere acquistate per il puro piacere. Una raccolta nata per l’“appassionata incompetenza” di due persone che per cinquant’anni hanno seguito l’istinto, raccogliendo lavori di pittura, disegno e scultura tra Otto e Novecento. Una decina di anni fa la raccolta dei coniugi Poscio, che conta 250 opere, è stata resa pubblica, affinché tutti potessero goderne nel palazzetto medievale di Casa De Rodis a Domodossola, appositamente restaurato. In dieci anni Casa De Rodis ha ospitato dodici mostre, diventando un punto di riferimento culturale per la città e per l’Ossola. La mostra 10 anni a Casa De Rodis, a cura di Elena Pontiggia, vuole sintetizzare questo percorso attraverso dieci opere di altrettanti diversi artisti appartenenti alla collezione, offrendo così uno spaccato delle molte anime che la compongono. Come scrive in catalogo la curatrice, si intende «dar conto non di tutta la collezione, cosa che sarebbe impossibile, ma dello sguardo che Alessandro e Paola hanno rivolto alle opere, scegliendole per un innamoramento che andava al di là di ogni tattica, di ogni strategia e, a maggior ragione, di ogni speculazione e di ogni pur legittimo calcolo economico». Ne abbiamo parlato con la figlia Stella.
Come nasce la collezione?
«La collezione nasce dalla passione artistica dei miei genitori e in particolare dall’amicizia tra mio padre e Carlo Fornara. Correvano gli anni Sessanta, mio papà era un giovane trentenne molto impegnato nell’azienda di famiglia, mentre Fornara, un tempo in prima linea per le battaglie artistiche, si era ritirato dal mondo – era ormai ottantenne – nella sua casa natale, a Prestinone. Non so bene che sia successo, sicuramente è scattata una sintonia particolare perché da quel momento i miei genitori hanno cominciato a collezionare opere d’arte, cominciando proprio da Fornara. Da qui, con un progressivo allargarsi dello sguardo, la collezione si è aperta su artisti italiani e stranieri dell’Ottocento, poi sul Novecento: divisionisti, macchiaioli, scapigliati, fino all’ingresso del disegno e della scultura, che hanno arricchito ulteriormente il corpus della raccolta. La scelta è stata dettata da una istintiva folgorazione, i miei genitori prima acquistavano ciò che li colpiva e poi si interessavano al contesto e alla storia, affidavano il lavoro di ricerca anche agli studiosi… un percorso inverso al solito, prima il cuore e poi la ragione e lo studio. In questi dieci anni, sono state realizzate diverse iniziativa: una prima mostra dedicata alla collezione che ha avuto un ottimo riscontro (moltissime persone hanno manifestato la loro gratitudine “per aver goduto di una tale bellezza”), il biglietto utilizzabile senza limiti di tempo, il dialogo tra le nostre opere e quelle di altri collezionisti, fino alle incursioni nel contemporaneo, così da mantenere la collezione viva».
Le opere più amate…
«Chiara pace di Fornara, del 1904. Mio padre ha cercato a lungo di comprare questa tela che sintetizza la visione di Fornara. È un paesaggio vigezzino reso con una grande forza di colore e di geometria. Poi c’è Stradina a Settignano di Telemaco Signorini, un quadro piccolissimo acquistato durante un viaggio a Firenze per la sua forza nel restituire il clima di metà ottobre. Intorno alle opere spesso ci sono storie di amicizie…»
Ad esempio…
«Papà aveva regalato a un suo collaboratore un disegno di Fornara Quando il padre è mancato il figlio l’ha restituito alla collezione dicendo “mio padre è stato onorato di questo regalo ma poiché non ho eredi voglio che ritorni alla collezione”. Cioè l’idea di esporre al pubblico nasce da una storia in cui l’arte è sempre stata anche gusto di condivisione».
Nasce così l’idea di rendere pubblica la collezione?
«Papà era felice quando qualcuno apprezzava i dipinti della sua collezione, capitava anche che facesse portare a casa per un po’ le opere, per poterle ammirare con calma. Da qui nasce l’idea di ristrutturare gli spazi del palazzetto. Purtroppo, papà non riuscì a vedere i lavori conclusi, ma la mamma ha portato avanti il progetto».
Alessandro e Paola erano sempre d’accordo sugli acquisti?
«Direi di si, tra i due papà era quello degli slanci che però erano condivisi, avevano una grande sintonia anche nelle scelte e nel gusto estetico».
È stato complicato selezionare solo 10 opere su 250?
«In realtà ci siamo trovati in sintonia nell’idea di individuare delle opere che fossero significative di per sé ma anche dal punto di vista affettivo e che potessero fornire una visione della collezione, per cui oltre a nucleo di tele anche due sculture e un disegno di Boldini - tra l’altro acquistato da mia mamma (la prima opera che lei ha acquistato dopo la morte di papà) e che quindi aveva un senso particolare proprio per questo desiderio di continuità…»
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