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Varese, Design Week: l’installazione che parla agli adulti
«Polisemia della Gabbia» esposta nel cortile di Casa Perabò. «Comfort Zone: Inquietudine» l’opera di Gaia, Matilde e Livia della Scuola europea

«Polisemia della Gabbia». Questo il significato multiplo di un’installazione non per caso suddivisa in cinque stanze, che fino a domani, domenica 28 settembre, resta esposta nel cortile di Casa Perabò. E che interroga i passanti non solo sull’adesione al tema portante della nona Design Week varesina, in corso di svolgimento proprio fino a domani, con il gran finale alla Fondazione Morandini di via del Cairo. Ma soprattutto su un’altra domanda: quanto sa viaggiare veloce e puntuale sui temi complessi il pensiero dei giovani?
Basterebbe soffermarsi sulla seconda opera dell’installazione realizzata da Gaia, Matilde e Livia studentesse della Scuola europea.
Il titolo è Comfort Zone: Inquietudine. Una minuscola seduta realizzata con i chiodi a simboleggiare quel che, sul vicino colle di Biumo, località Villa Panza, il designer ticinese Carlo Rampazzi racconta con la sua Libertà/Àtrebil.
Ovvero che ci si può sedere fino ad affossarsi nella più abulica delle pigrizie ma alla fine bisogna fare i conti con una realtà interiore che punge o che ci mette davanti allo specchio esistenziale.
«Abbiamo aderito con entusiasmo - così le tre studentesse - alla proposta dell’architetto e designer Silvana Barbato, che lo scorso giugno ci ha proposto di utilizzare il tempo dell’alternanza scuola-lavoro per provare a progettare un’installazione sul tema della gabbia. Alla fine abbiamo raccolto più spunti e due settimane fa, ci siamo messe al lavoro con il poco che però dice tanto».
Ludwig Mies van der Rohe, Maestro del Movimento Moderno e del Bauhaus, non sosteneva forse che «Less is more»?
Tradotto, più o meno alla lettera: via i fronzoli e l’anima dell’opera si svelerà integra. Che ce lo ricordino tre studentesse, capaci di assonanze con un altro architetto, considerato tra i più importanti designer d’esterno a livello internazionale, quali Rampazzi, è un dato di fatto che interroga gli adulti. Soprattutto quelli inchiodati - Gaia, Matilde e Livia ci scuseranno se prendiamo in prestito i loro strumenti di lavoro - alla banalità del «ai miei tempi» o, peggio alla cieca visione del «non ci sono più i valori di una volta». Che i valori cambino è un dato di fatto e che sia l’umanità intera dover fare i conti con la variabile dei valori, ricucendosi un senso più profondo del mero atteggiamento formale, è sotto gli occhi di tutti.
Nel Novecento, c’era chi rimpiangeva i valori e poi ha attraversato - chi c’è riuscito - due Guerre Mondiali. Oggi, i boomer e i loro genitori dimostrano quanto disvalore sia in circolazione. La polisemia della Gabbia ci manda un messaggio: non abbiate paura di accogliere il punto dei vista dei giovani. La presbiopia non è una malattia che li riguarda. Tanto meno se si tratta d’interrogare se stessi.
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