MUSICA
Finardi: «Quella volta al Palazzetto di Masnago»
Il cantautore sarà questa sera sul palco del Teatro Sociale di Busto Arsizio

«Un ricordo di Varese? Ah, sì. Mi ricordo di quella volta, sarà stato il 1975 o 1976 (era il 29 dicembre del 1975, ndr), prima che diventassi conosciuto, in cui dovevo aprire il concerto della Pfm al Palasport. Arrivammo a Masnago e il palazzetto mi sembrò un’astronave con tutti i vetri rotti. Anche in quell’occasione gli autoriduttori avevano deciso di contestare il fatto di dover pagare un concerto. I musicisti-compagni dovevano esibirsi gratis, anche se in quel caso il biglietto era di 200 lire, una cifra irrisoria a quel tempo, con cui ti prendevi al massimo due litri di benzina. So che ci fu una guerriglia con i lacrimogeni e, per questo, tutti i vetri andarono in frantumi. Fu un’esperienza straniante. Sono passati 50 anni, ma sembra quasi preistoria. Allora l’ideologia e la politica erano una presenza centrale della nostra vita. Quando spiego l’idea del “personale è politico”, mia figlia strabuzza gli occhi, non si capacita. Mi sento ancora compagno, anche se non so più di chi. D’altronde, è il mondo attorno di noi che è cambiato. È proprio vero quel che canta Ivano Fossati: “Le idee vanno a morire senza farti un saluto”».
Di aneddoti come questo il signor Finardi Eugenio, 72 anni, tra i pionieri del cantautorato rock, ci potrebbe fare anche più di un libro.
Questa sera, sabato 12 ottobre, ritornerà dalle nostre parti. Sarà al Teatro Sociale di Busto Arsizio per il primo dei cinque concerti di“Eventi in Jazz”, la rassegna organizzata quest’anno dall’associazione Area 101 con la direzione artistica di Mario Caccia e realizzata con il sostegno delle amministrazioni comunali di Busto e Castellanza. Sarà l’occasione per ascoltare “Euphonia Suite”, il progetto che lo vede alla testa di un terzetto del quale fanno parte due jazzisti di assoluto valore quali Mirko Signorile al pianoforte e Raffaele Casarano al sax.
«Per il nuovo spettacolo ho eliminato ogni contaminazione, didascalia, discorso, spiegazione. Non si parla mai. Si canta e si suona. L’idea è quella di creare un flusso senza interruzione di una musica libera da ogni condizionamento di genere. Siamo tre musicisti che suonano e spesso improvvisano su un canovaccio rappresentato dalle canzoni che più mi rappresentano, a parte “Musica Ribelle” esclusa perché troppo ritmica. “Euphonia” prova ad esprimere quella che è la mia idea di musica totale. Una musica delle musiche. Una musica che le contenga tutte. Non ho mai amato chi si chiude in un genere e ne rimane per certi versi prigioniero. E poi sai che noia... È ancora viva la memoria del mio primo concerto di Keith Jarrett. Era a Boston negli anni Settanta e suonava assieme a Miles Davis. Che magia: dentro c’era Vivaldi, Bach, Chopin, Satie, Debussy, il jazz di Thelonious Monk, la classica contemporanea, accenni d’oriente. In cima alla lista degli ascolti su Spotify c’è proprio Jarrett, seguito da Pergolesi, ZZ Top e Jannacci...».
E il premio Tirinnanzi per la poesia? «Mi sono sempre sentito musicista. In realtà, ho sempre amato scrivere, ma avevo questo problema delle due lingue, l’italiano di papà e l’inglese della mamma, soprano americana. Forse non mi sentivo così adeguato. Le parole lo è sempre considerate per il loro suono. Il fatto che qualcuno mi abbia premiato per il valore poetico dei miei testi, come è successo a Legnano, ancora oggi mi stupisce. Anche se, lo devo ammettere, è stato un grandissimo onore».
In “Euphonia” Finardi canta ancora una volta “Oceano di silenzio” dell’amico Franco Battiato...
«Ci siamo conosciuti nell’ufficio della casa discografica Cramps Records di Gianni Sassi nel 1972. Era il periodo dei suoi dischi sperimentali. Lo sa che ha suonato nel mio primo disco firmandosi Frank Ionia? A lungo abbia condiviso studi di registrazione e musicisti e anche una certa visione del mondo. Tuttavia, Franco partiva dalla spiritualità per arrivare alla realtà, mentre io ho sempre fatto il contrario».
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