LAVORO
MV Agusta, Ktm e la minaccia cinese
Il colosso austriaco è alla resa dei conti
Giugno scorso, nella piccola officina di un meccanico specializzato nella vendita e riparazione di moto da cross si discuteva del futuro di Ktm, marchio storico nel cuore di tutti gli appassionati di fuoristrada e proprietario della varesina MV Agusta: «Questa è arrivata stamattina - diceva il titolare - indicando una 125 dall’inconfondibile colore arancione - il cliente l’aveva ordinata mesi fa, costa più di 10mila euro. E sempre stamattina è arrivata questa Yamaha, ordinata due settimane fa. Costa oltre duemila euro in meno, vogliamo dire questa va male? Di Ktm ne vendiamo sempre meno, e loro continuano ad aumentare i prezzi. Come se la gente non sapesse che ormai tanto montano componenti asiatici».
La strategia cinese
Il breve colloquio riassunto qui sopra spiega bene la situazione: Ktm ha accumulato tre miliardi di debiti e oggi è stata costretta a presentare istanza fallimentare perché i giapponesi ieri e i cinesi oggi si sono messi a costruire buone motociclette a prezzi concorrenziali. Se i dipendenti della controllata MV Agusta sono giustamente preoccupati per i loro stipendi (al pari dei colleghi di Husqvarna), la crisi parte da molto lontano. Per la precisione è iniziata 35 anni fa, quando i cinesi fondarono nel distretto di Shangai il gruppo Cf Moto, che nel 2023 è arrivato a fatturare 1,7 miliardi di euro. Dal 2017 Cf Moto è partner di Ktm, un mese dopo la discussione con il meccanico milanese la società ha aperto il suo stabilimento di Hangzhov alla stampa occidentale, chi lo ha visitato è rimasto a bocca aperta: una cittadella modernissima costruita in 18 mesi e capace di sfornare oltre 400 moto al giorno. Da una parte quelle marchiate Cf, dall’altra le Ktm, tutte ugualmente perfette. Le strategie di marketing fanno poi il resto, posizionando i due marchi in diverse fasce di mercato: la Ktm 890 Adventure, cavallo di battaglia degli austriaci, costa nella sua versione top (la Rally) poco meno di 24mila euro; la Mt 800 di Cf, 11mila, meno della metà. Macchine diverse, per carità. Per essere precisi alla Mt 800 bisognerebbe paragonare la Ktm 790 Adventure: tra le due moto, che escono dal medesimo stabilimento cinese, il divario è a seconda degli allestimenti di mille o duemila euro al massimo. Come simili sono anche la Ktm 390 Adventure (costruita in India, oltre 8mila euro) e la Cf 450 Mt (costruita in Cina, meno di 6mila). Il marketing ha le sue ragioni, ma poi chi queste moto deve comperarle fa i suoi conti. Anche perché Ktm è da sempre un marchio di riferimento di utenti fortemente specialistici, gente che le moto le smonta e le rimonta nel garage di casa. E da qualche anno chi smonta una Ktm e ci trova un cilindro Kymco costruito a Taiwan, qualche domanda se la pone. Va bene affezionarsi a un marchio che ha fatto la storia, ma anche questi dettagli contano. Il fatto è che negli ultimi trent’anni i cinesi hanno stravolto il settore delle moto come ora stanno stravolgendo quello delle auto: con investimenti colossali e strategie chiarissime, hanno dimostrato di essere una valida alternativa alle industrie europee. Un po’ come negli anni Settanta era successo con le giapponesi, che avevano messo in ginocchio le Case italiane, tedesche e soprattutto inglesi.
Servizio completo sulla Prealpina in edicola lunedì 2 dicembre
© Riproduzione Riservata