PALAZZO CICOGNA
“Elegie dell’acqua”, una chiave per le inquietudini

Le “Elegie dell’acqua” di Brigitta Rossetti (Piacenza, 1974), in mostra a Busto Arsizio (fino al 12 marzo) a cura di Stefania Severi sono nere, blu e bianche. È questa la triade cromatica che domina tutti i dipinti e che acclima a sé anche i video e l’installazione che completano l’esposizione.
IL SENSO DELL’ACQUA
Il motivo immediato di quest’ultima ricerca è l’acqua e, attraverso essa, l’artista piacentina ripropone i suoi studi sulla natura non disgiunti o forse proprio innescati da necessità introspettive e personali. L’elemento naturale assume infatti per la Rossetti anche il senso di una chiave che apre la porta ad un’indagine, più che sulla “natura umana tout court”, sulle sue personali inquietudini (la ricerca dell’eremo non trovato da cui nasce “Not me”, l’istallazione che prevede il coinvolgimento del pubblico, è, sotto questo profilo, emblematica).
LO STAMPO ROMANTICO
Pur con le dovute differenze e cautele (l’afflato verso un Assoluto universale sembra essere limitato) si può parlare di un sentimento di stampo romantico che alberga in queste opere. Le tele di Brigitta potrebbero, dunque, essere considerate come estreme propaggini del vedutismo europeo del XIX secolo, rievocando, con la distanza che l’attenzione al dettaglio comporta, i cieli e le acque di Constable, di Friedrich, di Gigante. Una pittura di paesaggio, quindi, ma non, certamente, nel senso usuale del termine: queste immensità atmosferiche sono davanti agli occhi dello spettatore in un susseguirsi di impressioni visive in cui il dato di natura è presente, ad esempio, nella forma, sfatta e a stento individuabile, di un pinguino solitario e temerario tra i vapori ghiacciati. La natura c’è: lì nell’opera, oppure “qui”. Qui, perché nelle tele libere che si dipanano dalla parete fino ad adagiarsi sul pavimento (le prove più interessanti) l’elemento naturale - l’opera stessa, invero - sembra inglobare lo spettatore. L’opera non invade lo spazio reale come sembra a prima vista; attrae invece al suo interno l’astante: è lo spettatore, cioè, che prende posto nell’opera.
UN GIOCO METARAPPRESENTATIVO
Una sorta di gioco metarappresentativo che si attiva grazie alle dimensioni e alla modalità d’esposizione: chi osserva lo spettatore intento a contemplare l’opera avverte quest’ultimo come parte del lavoro stesso, vale a dire, vede quest’ultimo quasi come se fosse il “Monaco in riva al mare” di Friedrich. È per questo che, a differenza che nel quadro romantico, nelle opere in mostra l’Uomo non è dipinto. La presenza umana non manca invece nei video, coerenti per scelta tematica e formale, che tuttavia trattengono troppo del carattere individuale dell’autrice per dispiegarsi compiutamente ad una dimensione impersonale, in questo non sostenuti dalla scelta allestitiva che ne impone la fruizione a livello della pavimentazione. s.r.m.
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