LO SPETTACOLO A MILANO
Vi racconto perché essere napoletani è un'impresa

«Per poter dire di essere un vero napoletano devi essere simpatico, spiritoso, geniale, mai puntuale, imbroglione, ti deve piacere il Vesuvio, la mozzarella, devi tifare Napoli, il caffè deve essere in tazza bollente, la pizza avere il cornicione gonfio, devi essere devoto a san Gennaro, poi c’è pure la scaramanzia: sono cliché, luoghi comuni che riguardano la cultura napoletana. Essere napoletani è un’impresa, insomma, e io mi interrogo se sarò un napoletano doc. tanto più che sono nato a Bacoli, a trenta chilometri da Napoli, e quando ero bambino e mio padre andava a Napoli a lavorare pensavo sempre non tornasse più, perché dicevano vedi Napoli e poi muori».
E tra il serio e il faceto, a interrogarsi Vincenzo Salemme ci pensa nello spettacolo che fino al 16 gennaio è al teatro Manzoni di Milano, Napoletano? E famme ‘na pizza!, tratto dal suo libro del 2020, pubblicato da Baldini+Castoldi, e che ha debuttato nel novembre dell’anno scorso a Orvieto. Da lui scritto e diretto, è una composizione tra «Con tutto il cuore», la commedia che era proprio in scena al Manzoni nel marzo 2020, quando ha dovuto essere sospesa l’intera programmazione teatrale nazionale per lo scoppio della pandemia, e «Una festa esagerata», commedia che è stata in diretta sulla Rai in una formula inedita di spettacolo in tv.
«Le ho messe insieme- spiega Salemme- come se fossero una sola commedia, portando i due protagonisti, un geometra e un professore di lettere, sulla terrazza dove entrambi vivono. E quando sono soli si soffermano interrogandosi con il pubblico sulla napoletanità e ciò che si riferisce a Napoli, dal caffè alla pizza, che diventa filo conduttore. E a quando queste tradizioni rischiano di farti diventare prigioniero. Perché essere napoletano non ti impedisce di comprendere e comunicare con altre culture, non è un guscio, una corazza. Eduardo De Filippo ci diceva di italianizzare, di cercare di tradurre in italiano piccolo-borghese un napoletano altrimenti incomprensibile: questo non è tradimento, ma incontro».
E proprio con Eduardo, Salemme ha calcato per la prima volta il palcoscenico del Manzoni quarant’anni fa: era il 1980 e dal 19 marzo di quell’anno, come ricorda la locandina ancora affissa negli spazi del teatro milanese, Il teatro di Eduardo erano tre atti unici in due dei quali Salemme interpretava Michele. «Ha ragione il direttore del Manzoni Alessandro Arnone quando dice che questo teatro è la mia casa milanese – aggiunge Salemme -: ricordo nel 1980, la prima volta che ci sono arrivato con De Filippo. Eduardo era amatissimo a Milano e il primo ricordo che io ho di questa città è particolare perché a Napoli tutti la vedevano come nebbiosa e fredda, mentre io la trovai solare e soleggiata. E in quell’occasione ho fatto anche amicizia con molti ragazzi e ragazze di Milano».
Ora sul palco del Manzoni con lui ci saranno gli attori della sua Compagnia Teatrale, quella che Salemme, da capocomico attore e imprenditore della propria compagnia, ha molto a cuore, considerandola come una famiglia: sei attori e sette tecnici, più i trasportatori.
E alla fine dello spettacolo, con un escamotage, alcuni dei tecnici sono chiamati in scena, proprio a sottolineare, soprattutto in un momento così difficile per i lavoratori teatrali, come tutti abbiano un ruolo fondamentale. Ora c’è la sua Compagnia, non più Eduardo, ma di De Filippo Vincenzo Salemme ha un ricordo indelebile. «L’insegnamento di Eduardo era di ammorbidire, addolcire la nostra lingua -racconta -. Lo spettacolo più bello con Eduardo è stato l’incontro con lui, sono le emozioni che oggi non puoi più provare, perché non esiste più non solo Eduardo, ma anche quel tipo di artista. Lo spettacolo più bello era Eduardo in sé, ricordo che al Manzoni finivamo i tre atti di prosa unici verso la una e lui, a ottant’anni, restava sul palco, con il pubblico fermo in sala, a dire poesie. Io rimanevo sempre ad ascoltarlo, pensando ma quando mi ricapita più? Sentire il più grande attore del Novecento che in piedi recitava poesie come se fosse un bis per almeno mezz’ora, e nessuno che si alzava. Io ero un ragazzino, avevo ventitré anni, e queste sono cose che ti formano per sempre».
E se gli si chiede quale sia il suo riferimento per la comicità, non ha dubbi: ha sicuramente assorbito Totò, Troisi, ama Woody Allen. Ma Stanlio e Ollio sono al top.
© Riproduzione Riservata